Passato, presente e futuro dei marchi motociclistici, facciamo il punto della situazione sui marchi "italiani".
Dopo la delocalizzazione, dopo il fallimento aziendale di (ex) solide realtà industriali motociclistiche, dopo il COVID-19, dopo le acquisizioni estere di alcune delle nostre aziende motociclistiche, mentre siamo in piena guerra Ucraina-Russia che rischia di sfociare in guerra UE-Cina/Russia e mentre siamo in pieno boom di costruttori motociclistici cinesi, facciamo il punto della situazione dell'industria italiana su due ruote a motore.
Delle moto cinesi in vendita in Italia ne abbiamo parlato qui: link.
Adesso parliamo un po' di marchi italiani. Ma purtroppo è come parlare - daccapo - di marchi cinesi...
Personalmente non considero più la mia amata Ducati come marca italiana: dopo i Castiglioni, con la loro Cagiva, ci sono stati dei fondi esteri che l'hanno acquistata, poi il Texas Pacific Group e adesso il gruppo Audi-Volkswagen che ha pure messo le mani sull'Italdesign di Giorgetto Giugiaro e sulla Lamborghini. No, come si fa a sentire italiani questi vecchi e gloriosi marchi, adesso?
Ma forse neppure loro, in Ducati, si sentono italiani, visto che ha fatto un certo scalpore la foto del vice presidente Ducati, Francesco Milicia, che svela la DesertX a cinquemila chilometri di distanza da Borgo Panigale, in quel di Dubai, in occasione dell'Expo mondiale...
Del resto, chi considera ancora italiana Mamma FIAT, che si è legata mani e piedi al colosso francese PSA (Peugeot, Citroen, Talbot) creando all'uopo il marchio Stellantis che comprende oltre alla ex-galassia FIAT (Lancia, Alfa Romeo, Iveco e quote di Ferrari, mentre ormai Autobianchi e Innocenti sono defunte da tempo) anche la ex tedesca Opel in una sovrapposizione di gamma sconcertante?
Piaggio è rimasta italiana, con essa Moto Guzzi e Aprilia, mentre piangiamo per la scomparsa di Laverda e Gilera, molto meno per Derbi che sentivamo spagnola e che dal dicembre 2019 ha terminato la produzione degli ultimi modelli (che erano stati trasferiti negli stabilimenti Piaggio) equipaggiati con motore 50 due tempi Euro 4 a causa della normativa Euro 5; le vendite europee dei veicoli Derbi sono terminate nel 2020 e il marchio non viene più utilizzato.
Anche la Fantic Motor è una vera azienda italiana: fu fondata nel 1968 nel paese di Barzago dal dott. Mario Agrati, dell’Agrati Garelli di Monticello Brianza, che si staccò dall'azienda di famiglia per unirsi a Henry Keppel, responsabile Commerciale Estero Garelli.
Dopo il fallimento dell'azienda nel 1995 e la chiusura della fabbrica, il marchio venne rilevato, a seguito di una gara pubblica di acquisto, dall'imprenditore trevigiano Federico Fregnan nel 2003, riavviando la produzione nel 2005. Dal 1 ottobre 2014 è stata acquistata per intero da VeNetWorke il nuovo amministratore delegato è Mariano Roman.
Nel 2020 la Fantic Motor ha acquistato il 100% delle quote azionarie della Motori Minarelli dalla Yamaha.
Nel luglio 2022 Fantic ha acquistato la Bottecchia Cicli.
Ecco, magari in Fantic Motor useranno pure componentistica cinese, ma almeno hanno ben pensato di acquistare aziende italiane e non aziende spagnole come ha fatto Piaggio...
Di Moto Morini, Malaguti, Lambretta, Benelli, eccetera ne abbiamo parlato in precedenza: hanno ormai il passaporto asiatico ed è difficile considerarle italiane.
Ma fa scalpore la MV Agusta, quest’anno il 25% del loro pacchetto azionario è finito nelle mani di KTM, che facilmente deterrà il 100% delle azioni entro pochi mesi.
Se KTM non vi dice qualcosa, vi ricordo che dopo avere acquisito Husqvarna e Husaberg, la casa austriaca ha decretato la fine della seconda, che tra l'altro era nata proprio da una costola di Husqvarna da tecnici che non volevano trasferirsi in Italia dopo l'acquisizione da parte dei Castiglioni.... Corsi e ricorsi... Oggi però Husqvarna e Gas-Gas (altro marchio comprato dalla KTM, dopo che la spagnola ex importatrice delle allora fallite SWM si era unita a Ossa pur di sopravvivere) sono delle brutte copie delle più belle KTM... speriamo bene per MV Agusta...
Nel frattempo, la nostra Morbidelli è appena finita sotto il controllo della cinese MBP.
MBP (che è l'acronimo di Moto Passione Bologna) è il nuovo marchio del colosso cinese QJ Motor, che si affianca a Benelli e Keeway.
Non è finita. QJ Motor fa parte del gruppo Qianjiang Motor, che a sua volta ha come maggior azionista un colosso dell'automobile come Geely, che nel suo gonfio portafoglio vanta aziende come Volvo, Lotus, un pezzo di Aston Martin, il 50% di Smart. Tra gli esperti tecnologici di QJ ci sono ingegneri giapponesi che arrivano da Honda, mentre la struttura a capo del design è di scuola italiana. E poi la divisione a due ruote di Qianjiang mostra joint-venture con MV Agusta (e qui torniamo a KTM...), Peugeot (leggasi Mahindra) e Kymco, marchio indipendente. Inoltre, ha stretto un solido rapporto con Harley-Davidson. QJ costruisce, infatti, per la Casa di Milwaukee moto di 350 e 500 cm³.
Così come non possiamo più considerare italiane:
- la Marzocchi, che ha avviato una collaborazione con QJ, il marchio proprietario di Benelli...
- Dainese e AGV , marchi pregiatissimi acquistati dal fondo americano Carlyle;
- TCX che è stata acquistata dal fondo di investimento Investcorp;
- Vircos, eccellenza italiana delle tute in pelle, che è passata nelle mani di Rev’It!.
E così l'industria motociclistica italiana rischia di scomparire come già è scomparsa la rinata industria motociclistica inglese: dopo aver acquisito il marchio inglese Vincent, il colosso indiano Bajaj ha stretto anche un’importante partnership con Triumph per la produzione di moto di cubatura medio-piccola. Per mano di un altro colosso indiano, la TVS, partner di BMW, di lì a poco l’Inghilterra ha già perso un altro pezzo pregiato, la mitica Norton.
E così, le varie CFMoto, Voge o Zontes si stanno espandendo a macchia d'olio anche sul nostro povero italico mercato, complice l'inerzia non solo dell'industria italiana ma anche la scarsa coesione di quella europea (che poi è fondamentalmente quella austro-tedesca).
Lasciamo pure da parte l'industria motociclistica americana, che fondamentalmente è solo Harley Davidson ma che non ha i numeri per impensierire nessuno, Zero comprese.
Non ne parliamo poi degli ampi spazi che sul mercato italiano ed europeo hanno lasciato ai costruttori cinesi proprio gli (ex?) re della motocicletta moderna, i tanto osannati giapponesi che non sono più in grado di mantenere il loro precedente forsennato ritmo produttivo degli anni '80 e '90 del 1900!
Ma sicuramente il boom cinese (che è poi lo "sboom" italiano...) è da ricercare, oltre all'abbondanza di materie prime vitali per il futuro trasporto tramite motori elettrici, anche nel regime dittatoriale dove i diritti non sanno nemmeno cosa sono, dove c'è sfruttamento sul lavoro, dove hanno norme di sicurezza pari alle nostre di 60 anni fa, dove non esiste la legge anti contraffazione, dove le regole sono fatte per essere infrante (in casa degli altri, però), dove nonostante tutto questo pseudo sviluppo economico la maggior parte della popolazione è - ad oggi - ridotta alla fame.
Un Paese che, da subito, ha attratto avidi imprenditori occidentali (ma anche dirimpettai asiatici...) perché dove c'è la miseria, lì la manodopera costa poco.
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Delocalizzazione e marche italiane in mano ai cinesi
Dall'editoriale di Motociclismo - luglio 2023
Delocalizzazione e marche italiane in mano ai cinesi
Dalla Cina ne arriva una notizia che suona come uno schiaffo all'Italia e alla sua moto più venduta, la Benelli TRK: il colosso cinese QJ, proprietario dal 2005 di circa il 70% delle quote Benelli, a fine giugno ha riversato nei nostri concessionari migliaia di SRT 700 e 800, facendo, di fatto, una spietata concorrenza... a se stessa!
Per chi non lo sapesse, infatti, Benelli TRK e QJ SRT sono esattamente la stessa moto. Prodotta nello stesso luogo e assemblata dalle stesse mani, come del resto prevede dal 2005 l'accordo vincolante fra QJ e la sua partecipata. Il fatto che i due modelli siano commercializzati con nomi diversi e differenze estetiche risibili fa sì che il copia/in-colla sia una scelta spregiudicata che nulla ha a che vedere con il concetto di piattaforma industriale (un esempio, in questo senso virtuoso, sono il telaio e il motore della Transalp e della V-Strom 800DE con cui Honda e Suzuki fanno anche la Hornet e la GSX-8S).
Ma torniamo a QJ e Benelli: la Casa madre si è mostrata matrigna verso la "Casa figlia", e non solo i più pessimisti temono che stia programmando addirittura un figlicidio, considerate le modalità con cui si muove.
Per prima cosa, la QJ ha cercato un importatore italiano bussando anche alla porta della qualificata Padana Ricambi, che già cura gli interessi in Italia di altri colossi cinesi come Voge e CFMoto. Poi, a sottolineare quanto fa sul serio, ha deciso di entrare da noi in modo diretto con la consociata Voltatec, rinunciando all'importatore che invece ha mantenuto in ogni altro Paese europeo. Dopodiché ha cercato accordi commerciali coi quasi duecento dealer Benelli italiani, i quali, in presenza del palese conflitto di prodotti SRT - TRK, hanno quasi sempre declinato l'offerta.
Ma QJ non ha fatto una piega e in quattro e quattr'otto, sfoderando risorse apparentemente illimitate, si è creata una rete capillare di dealer multimarca. Tutto legittimo, per carità, ma che bella spina nel fianco per la Casa di Pesaro!
Se distogliamo lo sguardo dal mercato domestico e lo puntiamo sul Motomondiale, ovvero una delle più importanti vetrine planetarie per le aziende di moto, l'atteggiamento dei cinesi non cambia.
QJ Motor si è ben guardata dal sostenere Benelli a livello internazionale, attuando un'operazione magari simile a quella di Fantic in Moto2.
Queste sono manovre che servono soprattutto quando i brand, come appunto Fantic e Benelli, non sono troppo forti oltre confine.
Invece QJ, a completamento di questa strategia d'assalto, ha sfruttato ancora una volta competenze italiane, affidandosi al romagnolissimo team Gresini, per ottenere solo per sé la visibilità che le sta dando il sorprendente Filip Salac.
Che cosa ci insegna tutto questo è chiaro.
I Marchi e i progetti che mettiamo nelle loro mani possono diventare il cavallo di Troia con cui, anni più tardi, sfondano sui nostri mercati coi loro brand, di cui peraltro sono orgogliosissimi!
Basti vedere cosa è successo anche a due giganti come Samsung e Apple: hanno affidato ai cinesi la produzione dei componenti e nel giro di qualche anno si sono portati in casa un rivale tosto come Huawei.
Tornando a noi e ai rischi che corriamo, se la storia di QJ non è un monito, cerchiamo almeno di ricordarci che in Cina ci sono venti aziende che superano la produzione di un milione di veicoli a due ruote all'anno, quando il più grande dei nostri gruppi, ovvero Pierer Mobility, di moto (KTM, Husqvarna Motorcycles e GASGAS) ne fa a malapena 300.000.

Delocalizzazione e marche italiane in mano ai cinesi
Dalla Cina ne arriva una notizia che suona come uno schiaffo all'Italia e alla sua moto più venduta, la Benelli TRK: il colosso cinese QJ, proprietario dal 2005 di circa il 70% delle quote Benelli, a fine giugno ha riversato nei nostri concessionari migliaia di SRT 700 e 800, facendo, di fatto, una spietata concorrenza... a se stessa!
Per chi non lo sapesse, infatti, Benelli TRK e QJ SRT sono esattamente la stessa moto. Prodotta nello stesso luogo e assemblata dalle stesse mani, come del resto prevede dal 2005 l'accordo vincolante fra QJ e la sua partecipata. Il fatto che i due modelli siano commercializzati con nomi diversi e differenze estetiche risibili fa sì che il copia/in-colla sia una scelta spregiudicata che nulla ha a che vedere con il concetto di piattaforma industriale (un esempio, in questo senso virtuoso, sono il telaio e il motore della Transalp e della V-Strom 800DE con cui Honda e Suzuki fanno anche la Hornet e la GSX-8S).
Ma torniamo a QJ e Benelli: la Casa madre si è mostrata matrigna verso la "Casa figlia", e non solo i più pessimisti temono che stia programmando addirittura un figlicidio, considerate le modalità con cui si muove.
Per prima cosa, la QJ ha cercato un importatore italiano bussando anche alla porta della qualificata Padana Ricambi, che già cura gli interessi in Italia di altri colossi cinesi come Voge e CFMoto. Poi, a sottolineare quanto fa sul serio, ha deciso di entrare da noi in modo diretto con la consociata Voltatec, rinunciando all'importatore che invece ha mantenuto in ogni altro Paese europeo. Dopodiché ha cercato accordi commerciali coi quasi duecento dealer Benelli italiani, i quali, in presenza del palese conflitto di prodotti SRT - TRK, hanno quasi sempre declinato l'offerta.
Ma QJ non ha fatto una piega e in quattro e quattr'otto, sfoderando risorse apparentemente illimitate, si è creata una rete capillare di dealer multimarca. Tutto legittimo, per carità, ma che bella spina nel fianco per la Casa di Pesaro!
Se distogliamo lo sguardo dal mercato domestico e lo puntiamo sul Motomondiale, ovvero una delle più importanti vetrine planetarie per le aziende di moto, l'atteggiamento dei cinesi non cambia.
QJ Motor si è ben guardata dal sostenere Benelli a livello internazionale, attuando un'operazione magari simile a quella di Fantic in Moto2.
Queste sono manovre che servono soprattutto quando i brand, come appunto Fantic e Benelli, non sono troppo forti oltre confine.
Invece QJ, a completamento di questa strategia d'assalto, ha sfruttato ancora una volta competenze italiane, affidandosi al romagnolissimo team Gresini, per ottenere solo per sé la visibilità che le sta dando il sorprendente Filip Salac.
Che cosa ci insegna tutto questo è chiaro.
I Marchi e i progetti che mettiamo nelle loro mani possono diventare il cavallo di Troia con cui, anni più tardi, sfondano sui nostri mercati coi loro brand, di cui peraltro sono orgogliosissimi!
Basti vedere cosa è successo anche a due giganti come Samsung e Apple: hanno affidato ai cinesi la produzione dei componenti e nel giro di qualche anno si sono portati in casa un rivale tosto come Huawei.
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Yamaha Motor introduce la Yamaha Extended Warranty +5
Yamaha Motor introduce la Yamaha Extended Warranty +5
7 anni di tranquillità per gli appassionati delle due ruote. La Casa dei Tre Diapason estende la garanzia ai suoi mezzi. Quando l'affidabilità è per pochi
Quando si acquista una moto o uno scooter, c’è chi presta attenzione ad aspetti diversi: chi allo stile, chi alle performance, chi alla comodità, chi ai sogni dell’adolescenza.
Ma c’è un fattore che tutti prendono in considerazione per un investimento importante, tanto emotivamente quanto economicamente: la sicurezza di poter contare sull’affidabilità del mezzo e sul costante supporto del costruttore.
A tutto vantaggio della tranquillità degli acquirenti e per consolidare nel tempo il valore del veicolo, Yamaha Motor offre la nuova Yamaha Extended Warranty +5, grazie alla quale è possibile portare a 7 anni la copertura di garanzia ed il servizio di traino degli scooter e delle moto del brand.
Acquistabile dal 5 marzo 2024 presso la rete dei Concessionari ufficiali Yamaha, la nuova estensione può essere attivata al momento dell’immatricolazione del mezzo o nei successivi 36 mesi.
Anche per coloro che hanno già acquistato l'estensione a 5 anni ed hanno un mezzo non più vecchio di 36 mesi, sarà possibile integrare facilmente la copertura a 7 anni al costo contenuto di 20 euro.
L’estensione di garanzia, che viene mantenuta attiva a fronte di una regolare cura e manutenzione presso la rete ufficiale Yamaha, può essere trasferita ad un successivo acquirente in caso di vendita del veicolo, sia tramite concessionaria, sia tra privati.

Nella foto, la Yamaha R3 (YZF R3 serie 2021 - 24)
Andrea Colombi, Country Manager di Yamaha Motor Europe NV, filiale Italia, afferma: "Abbiamo lavorato con impegno per sviluppare un servizio pensato per la tutela dei nostri clienti. Siamo entusiasti di presentare un'estensione di garanzia così completa e durevole nel tempo. Con una copertura di 7 anni, offriamo tranquillità a tutti gli amanti delle due ruote, dimostrando la solidità e la serietà del nostro marchio. Questo servizio, accessibile a un costo ridotto, rappresenta un passo avanti significativo anche in termini di sicurezza stradale e comfort di guida perché, per mantenere la garanzia, i veicoli devono essere sottoposti a una manutenzione periodica e di qualità presso i nostri service".
Con la Yamaha Extended Warranty +5, Yamaha Motor offre un livello superiore di protezione e tranquillità, dimostrando ancora una volta l'impegno verso i propri clienti e la passione per un'esperienza di guida sulle due ruote piacevole e sicura.
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Quando si acquista una moto o uno scooter, c’è chi presta attenzione ad aspetti diversi: chi allo stile, chi alle performance, chi alla comodità, chi ai sogni dell’adolescenza.
Ma c’è un fattore che tutti prendono in considerazione per un investimento importante, tanto emotivamente quanto economicamente: la sicurezza di poter contare sull’affidabilità del mezzo e sul costante supporto del costruttore.
A tutto vantaggio della tranquillità degli acquirenti e per consolidare nel tempo il valore del veicolo, Yamaha Motor offre la nuova Yamaha Extended Warranty +5, grazie alla quale è possibile portare a 7 anni la copertura di garanzia ed il servizio di traino degli scooter e delle moto del brand.
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Anche per coloro che hanno già acquistato l'estensione a 5 anni ed hanno un mezzo non più vecchio di 36 mesi, sarà possibile integrare facilmente la copertura a 7 anni al costo contenuto di 20 euro.
L’estensione di garanzia, che viene mantenuta attiva a fronte di una regolare cura e manutenzione presso la rete ufficiale Yamaha, può essere trasferita ad un successivo acquirente in caso di vendita del veicolo, sia tramite concessionaria, sia tra privati.

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KTM e MV Agusta: ognuno per la sua strada...
Un anno fa avevo scritto questo:
Il mio scetticismo si è rivelato profetico, come da questo articolo di MotoGp One.
KTM e MV Agusta: ognuno per la sua strada...
MV Agusta riprende la produzione senza gli austriaci, che sono in crisi finanziaria. Il nuovo piano industriale parla di tremila moto nel 2025
KTM "lascia" MV Agusta. Una buona notizia? Beh, diciamo che forse, così facendo, la Casa di Schiranna ha più probabilità di "pensare a sé stessa".
Dopo l’incontro in Confidustria Varese, tra le parti sindacali ed i rappresentanti di KTM, si è deciso che MV Agusta non è più considerata un asset strategico per il Gruppo Pierer, e che la produzione per il 2025 vedrà tremila moto MV Agusta.
Si apre dunque una trattativa, "Tuttavia, a causa del concordato in corso, saranno necessari circa 90 giorni per realizzare questo piano, con una tempistica stimata attorno alla fine di marzo", hanno dichiarato i sindacati.
Questi ultimi hanno poi avuto delle rassicurazioni non solo a livello del piano industriale, ma anche e soprattutto sul mantenimento dei livelli occupazionali. "Il processo comporterà costi che, seppur ridotti grazie al concordato, saranno comunque significativi e dilazionati nel tempo. L'azienda, che presenta un patrimonio stabile, dovrà ora auto-sostenersi affrontando sfide non indifferenti. KTM ha definito il 2025 un anno particolarmente critico: nei primi mesi verranno vendute moto invendute attualmente in stock in Austria, ma successivamente MV dovrà basarsi esclusivamente sulla produzione e sulla vendita senza creare scorte di magazzino".
Come accennato in apertura, ci sono delle potenzialità a livello di crescita. Lo sviluppo previsto in tre anni, quindi entro la fine del 2027, dovrà velocizzarsi per il 2025, così da garantire un futuro "passabile". Agli operai sarà garantita la tredicesima mensilità, e solo ed esclusivamente in caso di problemi finanziari, eventuali tagli inizierebbero dai dirigenti (per poi procedere a scalare). Insomma, da marzo 2025 MV Agusta ripartirà alla grande. Fondamentale, la vendita di circa duemila moto ferme nei magazzini. Staremo a vedere dunque.
Ma fa scalpore la MV Agusta, quest’anno il 25% del loro pacchetto azionario è finito nelle mani di KTM, che facilmente deterrà il 100% delle azioni entro pochi mesi.
Se KTM non vi dice qualcosa, vi ricordo che dopo avere acquisito Husqvarna e Husaberg, la casa austriaca ha decretato la fine della seconda, che tra l'altro era nata proprio da una costola di Husqvarna da tecnici che non volevano trasferirsi in Italia dopo l'acquisizione da parte dei Castiglioni.... Corsi e ricorsi... Oggi però Husqvarna e Gas-Gas (altro marchio comprato dalla KTM, dopo che la spagnola ex importatrice delle allora fallite SWM si era unita a Ossa pur di sopravvivere) sono delle brutte copie delle più belle KTM... speriamo bene per MV Agusta...
Il mio scetticismo si è rivelato profetico, come da questo articolo di MotoGp One.
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MV Agusta riprende la produzione senza gli austriaci, che sono in crisi finanziaria. Il nuovo piano industriale parla di tremila moto nel 2025
KTM "lascia" MV Agusta. Una buona notizia? Beh, diciamo che forse, così facendo, la Casa di Schiranna ha più probabilità di "pensare a sé stessa".
Dopo l’incontro in Confidustria Varese, tra le parti sindacali ed i rappresentanti di KTM, si è deciso che MV Agusta non è più considerata un asset strategico per il Gruppo Pierer, e che la produzione per il 2025 vedrà tremila moto MV Agusta.
Si apre dunque una trattativa, "Tuttavia, a causa del concordato in corso, saranno necessari circa 90 giorni per realizzare questo piano, con una tempistica stimata attorno alla fine di marzo", hanno dichiarato i sindacati.
Questi ultimi hanno poi avuto delle rassicurazioni non solo a livello del piano industriale, ma anche e soprattutto sul mantenimento dei livelli occupazionali. "Il processo comporterà costi che, seppur ridotti grazie al concordato, saranno comunque significativi e dilazionati nel tempo. L'azienda, che presenta un patrimonio stabile, dovrà ora auto-sostenersi affrontando sfide non indifferenti. KTM ha definito il 2025 un anno particolarmente critico: nei primi mesi verranno vendute moto invendute attualmente in stock in Austria, ma successivamente MV dovrà basarsi esclusivamente sulla produzione e sulla vendita senza creare scorte di magazzino".
Come accennato in apertura, ci sono delle potenzialità a livello di crescita. Lo sviluppo previsto in tre anni, quindi entro la fine del 2027, dovrà velocizzarsi per il 2025, così da garantire un futuro "passabile". Agli operai sarà garantita la tredicesima mensilità, e solo ed esclusivamente in caso di problemi finanziari, eventuali tagli inizierebbero dai dirigenti (per poi procedere a scalare). Insomma, da marzo 2025 MV Agusta ripartirà alla grande. Fondamentale, la vendita di circa duemila moto ferme nei magazzini. Staremo a vedere dunque.
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KTM, dal fallimento all'acquisizione indiana
KTM, dal fallimento all'acquisizione indiana
Il 22 maggio 2025 rimarrà per sempre una data fondamentale nella storia della KTM, perché dopo mesi di crisi e settimane di incertezza, in cui l’azienda austriaca ha rischiato il fallimento a causa di un forte indebitamento con i fornitori, proprio in quel giorno, l’indiana Bajaj Auto ha ufficializzato l’investimento di 600 milioni di euro a copertura dei 525 milioni di euro che KTM doveva ai suoi creditori. Questa somma è scaturita dal piano di ristrutturazione che era stato approvato lo scorso 25 febbraio – il debito totale
ammontava a 1,2 miliardi di euro – ed è stata depositata alla fine di maggio.
Con questo investimento, che ha seguito quello di 200 milioni di euro effettuato in quattro tranche nei primi mesi dell’anno, Bajaj Auto si appresta a prendere il controllo di KTM, dopo essere stata azionista di minoranza fin dal 2007.
Questo avverrà esercitando un’opzione di acquisto già stabilita che consente a Bajaj Auto International Holdings B.V. di acquisire le azioni di Pierer Industrie AG in Pierer Bajaj AG, ovvero la società che controlla Pierer Mobility AG che a sua volta controlla KTM, Gas Gas, Husqvarna, WP Suspension e MV Agusta.
L’azienda italiana è formalmente ancora di proprietà di Pierer Mobility AG, che ne detiene il 50,1%, ma ne è prevista la vendita ad Art of Mobility, la società di Timur Sardarov che già la controllava in passato. L’ufficializzazione del cambio di proprietà dovrebbe avvenire nelle prossime settimane.
Tornando alla struttura societaria di Pierer Bajaj AG, attualmente Pierer Industrie AG ne detiene una partecipazione del 50,1% e il restante 49,9% è detenuto da Bajaj Auto International Holdings B.V. L’opzione di acquisto a favore della società indiana potrà essere
esercitata fino a maggio 2026, previa approvazione delle autorità di regolamentazione competenti.
«Si apre una nuova fase che ci permette di dare continuità alla storia di KTM. Gli stabilimenti esistenti, in particolare gli impianti di Mattighofen e di Munderfing, resteranno la base del nostro successo futuro» ha dichiarato il CEO di KTM Gottfried Neumeister, rimasto
da solo alla guida dell’azienda austriaca dopo il passo indietro di Stefan Pierer dello scorso gennaio.
Nel frattempo, il 28 maggio 2025 Pierer Mobility AG ha pubblicato il bilancio del 2024. Il fatturato è stato di 1.879 milioni di euro, pari a un calo del 29% rispetto al 2023, mentre il risultato operativo è stato fortemente negativo.
L’EBITDA (cioè l’utile prima di oneri finanziari, tasse, svalutazioni e ammortamenti) è stato negativo per 481 milioni di euro e anche l’EBIT, ovvero il margine prodotto dall’attività senza considerare gli oneri finanziari e le imposte, è stato negativo per 1.184 milioni di euro.
Pure il flusso di cassa disponibile per l’azienda segue lo stesso andamento (-776 milioni di euro) mentre l’indebitamento netto è salito a 1.643 milioni di euro.
Di conseguenza il patrimonio netto è sceso a -194 milioni di euro e non verranno distribuiti dividendi.
Anche per il 2025 non ci sono buone notizie: nonostante la stabilità della domanda, il fatturato scenderà ancora, principalmente a causa dei sei mesi di stop alla produzione, che dopo la ripresa dello scorso 17 marzo era durata per sei settimane prima di interrompersi di nuovo. Dovrebbe ripartire alla fine di luglio. In tutto ciò, le scorte delle concessionarie e degli importatori dovrebbero normalizzarsi entro la fine dell’anno, ma ci sarà comunque un’altra perdita operativa.
Infine, per quanto riguarda il motorsport, l’impegno in MotoGP è assicurato per il 2026, cioè fino al termine del contratto con Dorna Sports. Ma il futuro è tutto da decifrare: «Non posso parlare di tutte le categorie e classi con tutti i marchi in questo momento, ma posso dirvi chiaramente: rimarremo nel motorsport» ha detto Neumeister al quotidiano austriaco Salzburger Nachrichten.
Ad ogni modo, prima di definire l’impegno nelle corse c’è un azienda da ristrutturare, partendo dall’alto: i membri del Consiglio di sorveglianza Stephan Zöchling (Presidente), Rajiv Bajaj (Vicepresidente) e Friedrich Roithner si dimetteranno dalla fine della prossima assemblea generale annuale del 23 giugno e verranno sostituiti da Dinesh Thapar (CFO di Bajaj Auto Limited) e dagli avvocati Ernst
Chalupsky ed Ewald Oberhammer.
Questo è ciò che sappiamo finora, e resta da capire come abbia fatto un’azienda solida come KTM ad arrivare a questo punto: la sua crisi si era palesata, quasi come un fulmine a ciel sereno, lo scorso 29 novembre quando KTM Components e KTM F&E avevano presentato domanda di ristrutturazione giudiziaria con auto-amministrazione al tribunale regionale di Ried.
Per capire come sia iniziata la crisi della KTM bisogna tornare indietro alla fine del 2022, quando tutto andava bene.
Dal 1992 in poi l’azienda ha avuto un tasso di crescita medio (CAGR) del 15% e non ha avuto particolari problemi nemmeno durante la pandemia. Anzi, proprio in quel periodo era entrata nel mercato delle e-bike, la cui popolarità stava aumentando oltre il pubblico di appassionati, e lo aveva fatto a modo suo, cioè puntando sul design, sul marketing e sul motorsport, come con le
moto.
Ma se nelle motociclette la crescita di KTM è stata graduale, con le e-bike la strategia è stata di puntare in alto dall’inizio.
Il Gruppo Pierer Mobility, che possedeva già il marchio Rayom, decide di acquistare il brand premium americano Felt. Inoltre, non potendo vendere e-bike con il marchio KTM, le sviluppa per venderle come GasGas e Husqvarna.
Quindi iniziano gli investimenti: 40 milioni di euro per costruire uno stabilimento in Bulgaria, più altri solo per l’assemblaggio in Argentina, Brasile, Colombia e Filippine; altri soldi servono a creare squadre sportive nelle competizioni più importanti su strada e fuori.
All’inizio le cose sembrano andare bene: nel 2023 il Gruppo totalizza 381.555 moto e 157.358 bici, ma in realtà il picco della domanda creato dalla pandemia e dagli incentivi è già stato superato e il mercato delle biciclette è saturo.
In poco tempo l’offerta supera la domanda e i prezzi crollano. Pierer fa marcia indietro e in poche settimane decide di abbandonare le bici, così prima che finisca il 2023 vende sia Felt che Raymon e cerca di adeguare la strategia delle e-bike GasGas e Husqvarna.
A questi problemi con le biciclette si aggiungono quelli di due mercati importanti: Asia e Stati Uniti.
Di conseguenza tra il 2022 e il 2023 gli utili si dimezzano e il flusso di cassa disponibile scende da zero (un valore accettabile) a
-413 milioni di euro. Questo crollo dipende anche da un altro fattore, ovvero dalla volontà di KTM di sostenere e i propri fornitori e le concessionarie in difficoltà, per evitare una serie di fallimenti. Le previsioni fatte nel 2023 per il 2024 parlano di un anno di consolidamento, con l’inflazione e l’aumento dei salari da gestire.
È in questo periodo che parte della produzione e della ricerca e sviluppo per i prodotti di fascia medio-bassa viene spostata in Cina e affidata a Cfmoto. All’inizio si tratta di sole 20.000 moto della piattaforma 790, un numero piccolo in confronto alle oltre 200.000 motociclette prodotte a Mattighofen e alle 150.000 monocilindriche realizzate in India da Bajaj.
Nel frattempo le notizie sui problemi di Pierer Mobility iniziano a circolare e il titolo, quotato nella borsa svizzera, crolla.
Per questo e per un maggiore ricorso ai finanziamenti, gli interessi salgono da 19 a 67 milioni, e il Gruppo deve aumentare le riserve di capitale. Inoltre, per tranquillizzare gli investitori, annuncia il lancio di nuovi modelli.
Nel primo semestre del 2024 le vendite di tutti i brand continuano a calare (-21,2%), tranne quelle di MV Agusta che partiva quasi da zero e di Cfmoto, di cui KTM è distributore per quasi tutta Europa. Anche le biciclette calano del 23%. Perciò il fatturato di tutto il Gruppo scende quasi di un terzo e gli indici vanno in negativo.
La spiegazione ufficiale è la ristrutturazione del settore bici che ha richiesto 75 milioni di euro, ma non si capisce da dove derivi un debito complessivo che è dieci volte più grande.
Ad ogni modo, con le vendite in contrazione, la contromisura è quella di aumentare i margini, quindi concentrarsi sulle moto più costose e alzare i prezzi.
Bisogna anche ricordare che KTM produce tra le montagne, con i problemi di logistica che ne derivano, e che ha un alto costo del lavoro.
Tuttavia non si capisce perché sia stato affrettato l’acquisto del pacchetto di maggioranza di MV Agusta, che costa “solo” 45 milioni di euro (35 milioni cash e 10 di quote acquistate da Pierer) ma comunque porta a un aumento del debito.
Dopo questa operazione il patrimonio diminuisce del 20% e la liquidità viene dimezzata, ma al 30 giugno 2024 il Gruppo “si considera in una situazione finanziaria solida” perché conta sulla fiducia delle banche e delle riserve, tanto che crescono anche gli
investimenti: da 151,7 milioni nel primo semestre 2023 a 169,6 milioni nello stesso periodo del 2024.
Ma le cose continuano a peggiorare, perché è impossibile tagliare i costi di produzione, le vendite continuano a calare – il 2024 si chiude a 292.000 moto, cioè 80.000 in meno del 2023 – e aumentano le promozioni per sostenere le concessionarie. Il risultato è che per giugno 2024 il debito raddoppia, passando da 775 milioni a 1,5 miliardi di euro, mentre in sei mesi viene bruciato mezzo miliardo a livello di cassa.
Nonostante i conti siano estremamente preoccupanti, KTM si comporta come l’orchestra del Titanic e a EICMA 2024 presenta 22 nuove moto.
Peccato che pochi giorni dopo KTM porti in tribunale la richiesta di ristrutturazione del debito.
Il perché di questa deflagrazione non è confermato, ma pare che dipenda da una grande fornitura di Bajaj, che aveva prodotto 130.000 moto per la Casa austriaca e le aveva inserite nel bilancio in una sola tranche. Il resto, come abbiamo visto, è storia recente e il futuro di KTM sarà scritto da un nuovo gruppo dirigente, che non ha più nulla a che fare con il precedente.
Tratto da InMoto - Luglio 2025
Il 22 maggio 2025 rimarrà per sempre una data fondamentale nella storia della KTM, perché dopo mesi di crisi e settimane di incertezza, in cui l’azienda austriaca ha rischiato il fallimento a causa di un forte indebitamento con i fornitori, proprio in quel giorno, l’indiana Bajaj Auto ha ufficializzato l’investimento di 600 milioni di euro a copertura dei 525 milioni di euro che KTM doveva ai suoi creditori. Questa somma è scaturita dal piano di ristrutturazione che era stato approvato lo scorso 25 febbraio – il debito totale
ammontava a 1,2 miliardi di euro – ed è stata depositata alla fine di maggio.
Con questo investimento, che ha seguito quello di 200 milioni di euro effettuato in quattro tranche nei primi mesi dell’anno, Bajaj Auto si appresta a prendere il controllo di KTM, dopo essere stata azionista di minoranza fin dal 2007.
Questo avverrà esercitando un’opzione di acquisto già stabilita che consente a Bajaj Auto International Holdings B.V. di acquisire le azioni di Pierer Industrie AG in Pierer Bajaj AG, ovvero la società che controlla Pierer Mobility AG che a sua volta controlla KTM, Gas Gas, Husqvarna, WP Suspension e MV Agusta.
L’azienda italiana è formalmente ancora di proprietà di Pierer Mobility AG, che ne detiene il 50,1%, ma ne è prevista la vendita ad Art of Mobility, la società di Timur Sardarov che già la controllava in passato. L’ufficializzazione del cambio di proprietà dovrebbe avvenire nelle prossime settimane.
Tornando alla struttura societaria di Pierer Bajaj AG, attualmente Pierer Industrie AG ne detiene una partecipazione del 50,1% e il restante 49,9% è detenuto da Bajaj Auto International Holdings B.V. L’opzione di acquisto a favore della società indiana potrà essere
esercitata fino a maggio 2026, previa approvazione delle autorità di regolamentazione competenti.
«Si apre una nuova fase che ci permette di dare continuità alla storia di KTM. Gli stabilimenti esistenti, in particolare gli impianti di Mattighofen e di Munderfing, resteranno la base del nostro successo futuro» ha dichiarato il CEO di KTM Gottfried Neumeister, rimasto
da solo alla guida dell’azienda austriaca dopo il passo indietro di Stefan Pierer dello scorso gennaio.
Nel frattempo, il 28 maggio 2025 Pierer Mobility AG ha pubblicato il bilancio del 2024. Il fatturato è stato di 1.879 milioni di euro, pari a un calo del 29% rispetto al 2023, mentre il risultato operativo è stato fortemente negativo.
L’EBITDA (cioè l’utile prima di oneri finanziari, tasse, svalutazioni e ammortamenti) è stato negativo per 481 milioni di euro e anche l’EBIT, ovvero il margine prodotto dall’attività senza considerare gli oneri finanziari e le imposte, è stato negativo per 1.184 milioni di euro.
Pure il flusso di cassa disponibile per l’azienda segue lo stesso andamento (-776 milioni di euro) mentre l’indebitamento netto è salito a 1.643 milioni di euro.
Di conseguenza il patrimonio netto è sceso a -194 milioni di euro e non verranno distribuiti dividendi.
Anche per il 2025 non ci sono buone notizie: nonostante la stabilità della domanda, il fatturato scenderà ancora, principalmente a causa dei sei mesi di stop alla produzione, che dopo la ripresa dello scorso 17 marzo era durata per sei settimane prima di interrompersi di nuovo. Dovrebbe ripartire alla fine di luglio. In tutto ciò, le scorte delle concessionarie e degli importatori dovrebbero normalizzarsi entro la fine dell’anno, ma ci sarà comunque un’altra perdita operativa.
Infine, per quanto riguarda il motorsport, l’impegno in MotoGP è assicurato per il 2026, cioè fino al termine del contratto con Dorna Sports. Ma il futuro è tutto da decifrare: «Non posso parlare di tutte le categorie e classi con tutti i marchi in questo momento, ma posso dirvi chiaramente: rimarremo nel motorsport» ha detto Neumeister al quotidiano austriaco Salzburger Nachrichten.
Ad ogni modo, prima di definire l’impegno nelle corse c’è un azienda da ristrutturare, partendo dall’alto: i membri del Consiglio di sorveglianza Stephan Zöchling (Presidente), Rajiv Bajaj (Vicepresidente) e Friedrich Roithner si dimetteranno dalla fine della prossima assemblea generale annuale del 23 giugno e verranno sostituiti da Dinesh Thapar (CFO di Bajaj Auto Limited) e dagli avvocati Ernst
Chalupsky ed Ewald Oberhammer.
Questo è ciò che sappiamo finora, e resta da capire come abbia fatto un’azienda solida come KTM ad arrivare a questo punto: la sua crisi si era palesata, quasi come un fulmine a ciel sereno, lo scorso 29 novembre quando KTM Components e KTM F&E avevano presentato domanda di ristrutturazione giudiziaria con auto-amministrazione al tribunale regionale di Ried.
Per capire come sia iniziata la crisi della KTM bisogna tornare indietro alla fine del 2022, quando tutto andava bene.
Dal 1992 in poi l’azienda ha avuto un tasso di crescita medio (CAGR) del 15% e non ha avuto particolari problemi nemmeno durante la pandemia. Anzi, proprio in quel periodo era entrata nel mercato delle e-bike, la cui popolarità stava aumentando oltre il pubblico di appassionati, e lo aveva fatto a modo suo, cioè puntando sul design, sul marketing e sul motorsport, come con le
moto.
Ma se nelle motociclette la crescita di KTM è stata graduale, con le e-bike la strategia è stata di puntare in alto dall’inizio.
Il Gruppo Pierer Mobility, che possedeva già il marchio Rayom, decide di acquistare il brand premium americano Felt. Inoltre, non potendo vendere e-bike con il marchio KTM, le sviluppa per venderle come GasGas e Husqvarna.
Quindi iniziano gli investimenti: 40 milioni di euro per costruire uno stabilimento in Bulgaria, più altri solo per l’assemblaggio in Argentina, Brasile, Colombia e Filippine; altri soldi servono a creare squadre sportive nelle competizioni più importanti su strada e fuori.
All’inizio le cose sembrano andare bene: nel 2023 il Gruppo totalizza 381.555 moto e 157.358 bici, ma in realtà il picco della domanda creato dalla pandemia e dagli incentivi è già stato superato e il mercato delle biciclette è saturo.
In poco tempo l’offerta supera la domanda e i prezzi crollano. Pierer fa marcia indietro e in poche settimane decide di abbandonare le bici, così prima che finisca il 2023 vende sia Felt che Raymon e cerca di adeguare la strategia delle e-bike GasGas e Husqvarna.
A questi problemi con le biciclette si aggiungono quelli di due mercati importanti: Asia e Stati Uniti.
Di conseguenza tra il 2022 e il 2023 gli utili si dimezzano e il flusso di cassa disponibile scende da zero (un valore accettabile) a
-413 milioni di euro. Questo crollo dipende anche da un altro fattore, ovvero dalla volontà di KTM di sostenere e i propri fornitori e le concessionarie in difficoltà, per evitare una serie di fallimenti. Le previsioni fatte nel 2023 per il 2024 parlano di un anno di consolidamento, con l’inflazione e l’aumento dei salari da gestire.
È in questo periodo che parte della produzione e della ricerca e sviluppo per i prodotti di fascia medio-bassa viene spostata in Cina e affidata a Cfmoto. All’inizio si tratta di sole 20.000 moto della piattaforma 790, un numero piccolo in confronto alle oltre 200.000 motociclette prodotte a Mattighofen e alle 150.000 monocilindriche realizzate in India da Bajaj.
Nel frattempo le notizie sui problemi di Pierer Mobility iniziano a circolare e il titolo, quotato nella borsa svizzera, crolla.
Per questo e per un maggiore ricorso ai finanziamenti, gli interessi salgono da 19 a 67 milioni, e il Gruppo deve aumentare le riserve di capitale. Inoltre, per tranquillizzare gli investitori, annuncia il lancio di nuovi modelli.
Nel primo semestre del 2024 le vendite di tutti i brand continuano a calare (-21,2%), tranne quelle di MV Agusta che partiva quasi da zero e di Cfmoto, di cui KTM è distributore per quasi tutta Europa. Anche le biciclette calano del 23%. Perciò il fatturato di tutto il Gruppo scende quasi di un terzo e gli indici vanno in negativo.
La spiegazione ufficiale è la ristrutturazione del settore bici che ha richiesto 75 milioni di euro, ma non si capisce da dove derivi un debito complessivo che è dieci volte più grande.
Ad ogni modo, con le vendite in contrazione, la contromisura è quella di aumentare i margini, quindi concentrarsi sulle moto più costose e alzare i prezzi.
Bisogna anche ricordare che KTM produce tra le montagne, con i problemi di logistica che ne derivano, e che ha un alto costo del lavoro.
Tuttavia non si capisce perché sia stato affrettato l’acquisto del pacchetto di maggioranza di MV Agusta, che costa “solo” 45 milioni di euro (35 milioni cash e 10 di quote acquistate da Pierer) ma comunque porta a un aumento del debito.
Dopo questa operazione il patrimonio diminuisce del 20% e la liquidità viene dimezzata, ma al 30 giugno 2024 il Gruppo “si considera in una situazione finanziaria solida” perché conta sulla fiducia delle banche e delle riserve, tanto che crescono anche gli
investimenti: da 151,7 milioni nel primo semestre 2023 a 169,6 milioni nello stesso periodo del 2024.
Ma le cose continuano a peggiorare, perché è impossibile tagliare i costi di produzione, le vendite continuano a calare – il 2024 si chiude a 292.000 moto, cioè 80.000 in meno del 2023 – e aumentano le promozioni per sostenere le concessionarie. Il risultato è che per giugno 2024 il debito raddoppia, passando da 775 milioni a 1,5 miliardi di euro, mentre in sei mesi viene bruciato mezzo miliardo a livello di cassa.
Nonostante i conti siano estremamente preoccupanti, KTM si comporta come l’orchestra del Titanic e a EICMA 2024 presenta 22 nuove moto.
Peccato che pochi giorni dopo KTM porti in tribunale la richiesta di ristrutturazione del debito.
Il perché di questa deflagrazione non è confermato, ma pare che dipenda da una grande fornitura di Bajaj, che aveva prodotto 130.000 moto per la Casa austriaca e le aveva inserite nel bilancio in una sola tranche. Il resto, come abbiamo visto, è storia recente e il futuro di KTM sarà scritto da un nuovo gruppo dirigente, che non ha più nulla a che fare con il precedente.
Tratto da InMoto - Luglio 2025
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Fumetti che leggo.
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